«La vita potrebbe essere divisa in tre fasi: Rivoluzione, Riflessione e Televisione.
Si comincia con il voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali»
(Luciano De Crescenzo)
Fu vera rivoluzione o fu, piuttosto, una catastrofe generazionale? A cinquant’anni dal ’68, anno “formidabile” e cruciale per alcuni dei suoi protagonisti, horribilis per altri – almeno per coloro che dalle barricate sono approdati a posizioni antitetiche rispetto agli ideali e alle utopie di allora –, il festival Dromos proporrà una meditazione e alcuni spunti di riflessione inserendosi in un dibattito che, giocoforza, caratterizzerà e accenderà gli animi per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario. Sarà, pertanto, DromosRevolution, e sarà, al contempo, l’occasione per festeggiare un altro anniversario, di certo meno dirompente ma che, nell’ambito della cultura isolana, ha segnato e continua a segnare il percorso musicale e culturale più in generale: il ventennale del festival. Per Alain de Benoist «il maggio del ’68 fu una speranza di rivoluzione. Speranza delusa, ovviamente, ma perlomeno fu uno slancio, un desiderio, delle immagini. Qualcosa che dava l’apparenza del cambiamento in quell’universo così disperatamente pesante del dopoguerra». Certo è che innestò mutamenti reali nel costume, nella musica, nell’arte, nei rapporti tra le persone, nella sessualità, nell’abbigliamento e nelle tendenze giovanili, determinando o aprendo a stravolgimenti e aperture nei diritti individuali – delle donne in primo luogo –, dei discriminati, degli emarginati, dei pazienti psichiatrici e, ancora, una diversa sensibilità verso i problemi ecologici dei quali si cominciò a cogliere la reale portata a causa di una sempre più pervasiva e incontrollata industrializzazione. Fu, soprattutto – e questo è l’aspetto che vorremmo approfondire, in linea con le tematiche che da sempre caratterizzano il festival Dromos – l’aspirazione di una generazione nel portare l’immaginazione al potere, secondo le teorie di Herbert Marcuse, uno dei padri nobili di quell’immaginifico e per certi versi irripetibile momento politico, sociale e culturale. Del resto, fu proprio la grande importanza data all’immaginazione che rese il filosofo tedesco celebre tra gli studenti e gli intellettuali più esposti durante il ‘68 e che in lei individuarono la possibilità di superare la ragione e il linguaggio, troppo compromessi coi modelli dominanti, considerandola l’unico strumento in grado di interpretare le cose alla luce della loro reale portata rivoluzionaria e liberatoria. In tale ottica, si muoverà anche il festival Dromos che – tagliato il lusinghiero traguardo dei vent’anni di vita –, affiderà ancora una volta alla musica, nelle sue diverse declinazioni e contaminazioni, all’arte, alla fotografia, alla letteratura e al cinema, il compito di esaltare la forza utopica e vivificante dell’immaginazione, la possibilità di liberare il pensiero creativo, di divulgarlo e di condividerlo con un pubblico sempre più vasto ed esigente, festeggiando il potere dell’immaginazione e nella consapevolezza che la “rivoluzione umana” è più importante di tutte le rivoluzioni e, allo stesso tempo, la più necessaria per l’umanità (Daisaku Ikeda). Al festival, dunque, il compito di scongiurare l’ironica e corrosiva profezia di Luciano De Crescenzo che prefigura la vita divisa in tre fasi: Rivoluzione, Riflessione e Televisione e noi, partiti lancia in resta a voler cambiare il mondo, rischiamo di finire passivamente accomodati su un divano, a cambiare i canali.
Ivo Serafino Fenu
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